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Prendere atto e salvaguardare la democrazia

Aggiornamento: 13 ott

Torino, 22 settembre 2025 - Foto di Stefano Guidi/Getty Images
Torino, 22 settembre 2025 - Foto di Stefano Guidi/Getty Images

Che i valori fondanti della democrazia siano in uno stato di fragilità è sotto gli occhi di tutti. Non viviamo più in un’epoca di democrazia partecipata, in cui ad esprimere il proprio voto si recava la quasi totalità degli aventi diritto. Ma limitare alla crescita dell’astensionismo, seppur terribilmente impetuosa, la responsabilità del declino delle strutture democratiche per come le abbiamo conosciute dalla fine del dopoguerra, potrebbe ridurre di molto la capacità d’analisi.


Il fenomeno dell’astensionismo non è che una mera risposta esteriore di una particolare condizione che sta coinvolgendo sempre più ampi strati della popolazione. E’, infatti, l’intima sfiducia nelle istituzioni democratiche a determinare il successivo e formale calo dei numeri di questa o di quell’altra consultazione elettorale. 


Democrazia con mani legate


Si potrebbe dire che è in corso un lento esodo delle masse da una vita democratica ad un'altra di diversa natura. E tanto più preoccupante è che soprattutto i giovani, il futuro del paese, percepiscono le procedure democratiche come inutilmente farraginose, preferendo ad esse un tipo di sistema di potere autoritario, libero dai vincoli a cui sarebbe astretto un governo di natura democratica: ciò è emerso da un sondaggio della primavera scorsa commissionato a SWG da Azione, in cui ad esprimersi favorevolmente per l’ipotesi di un premier con mani libere è un terzo degli italiani, con un picco del 52% per la fascia di popolazione che va dai 25 ai 35 anni.


Dati del genere sono pericolosi, ma ancora peggio è non adottare azioni che conseguono ad una determinata presa d’atto: sulla scorta del dilagante fenomeno dell’astensionismo, e del recente sondaggio di cui si è fatta menzione, oltre che sulla base di innumerevoli altri indicatori che per non esorbitare ci si esime dall’indicare, occorre assumere che la democrazia, senza una rinnovata coscienza collettiva, è destinata ad una lenta ma inesorabile morte. E non si vuole essere macabri o platealmente drammatici quando si sostiene quello di cui sopra. E’ solo l’adozione di una particolare postura che riflette le condizioni di fatto, riscontrabili da chiunque ci voglia ragionare sopra. Quanto tempestiva sarà la diagnosi, tanto meno vana sarà la cura (almeno qualora ci dovesse essere). 


Le parole spese finora potrebbero sembrare ovvie, risapute, ma quante volte quello che è scontato è ciò di cui si parla ma non ciò di cui si discute veramente. Quante volte è da altre prospettive, e non da quelle ragionevolmente ovvie, che si pensa di studiare la realtà e di agire di conseguenza? 


Il riconoscimento dell'altro


Il preambolo di sopra mi è servito per guardare gli eventi recenti con una determinata prospettiva. L’immensa mobilitazione popolare a cui il paese ha assistito negli ultimi giorni non può essere liquidata con superficialità, né delegittimata nelle sue motivazioni da chi dovrebbe essere il rappresentante delle istanze di tutto il paese, non solo di quelle di una precisa fazione politica. Inaccettabile è la Presidente del Consiglio quando afferma che “weekend lungo e la rivoluzione non stanno insieme”, insinuando che dietro l’indizione dello sciopero generale di venerdì 3 ottobre ci fosse la volontà di allungare il weekend, squalificando così le nobili ragioni della mobilitazione.


non si chiede che un premier debba necessariamente condividere l’opportunità di indire uno sciopero, ma almeno ci si aspetterebbe da un rappresentante delle istituzioni l’umiltà di rispettare l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito all’art.40 della nostra Carta costituzionale. Dietro una mobilitazione di tali dimensioni, con una così trasversale partecipazione, ci sono dei sentimenti popolari che devono essere compresi e rispettati e a cui è necessario dare delle risposte da parte delle istituzioni. 


Occorre, e si torna a ciò di cui si è parlato sopra, prendere atto di quanto è sotto gli occhi di tutti noi. E si ripete che non è necessariamente condividere ciò che si auspicherebbe da chi ci governa, ma la modesta volontà di interpretare, comprendere, indagare. Se, invece, un muro viene levato dinanzi alle istanze che provengono dalla società civile, non concependo la gestione democratica del potere come orizzontale e dialogica, il possibile rischio, che già incombe su di noi, è di determinare l’allontanamento delle masse popolari dalla partecipazione attiva alle istituzioni democratiche del Paese. Al contrario di allargare la forbice della vita democratica a più ampi strati della popolazione, è così in atto da alcuni anni il procedimento opposto.


Questo soprattutto per responsabilità della politica, a causa della sua ottusità e incapacità di avere cognizione di cosa significa essere classe dirigente in un paese democratico. Ciò che si fa fatica a comprendere (o non si vuole) è che democrazia non è solo procedura democratica. Le consultazioni elettorali sono il sale della democrazia, ma questa non si esaurisce in quelle: la democrazia si vive e per essere vissuta ha bisogno anzitutto di essere recepita interiormente. E per permettere che venga popolarmente interiorizzata sussiste il bisogno di un’opera di educazione, che è completamente assente, alla vita democratica.


Sciopero in sostegno della Palestina

Il riconoscimento della dignità


Da qui la necessità di un cambio di passo. Chi ha in mano il potere ha il dovere di arrestare la regressione in atto, con l’assillo di coinvolgere nella gestione del potere trasversalmente e sussidiariamente i cittadini e permettere, così, che ogni istanza della società civile abbia il suo naturale sbocco in un contesto democratico. 


Non è saggio, quindi, soffiare sul fuoco delle nostre divisioni, giacché la bipolarizzazione del dibattito pubblico, in uno scontro in cui tutto si annulla e non vi è alcun riconoscimento della dignità dell’interlocutore, non giova alla salute della nostra rantolante democrazia. Si rammenti, peraltro, che nella nostra amata Costituzione la parola dignità ricorre in molti articoli: si pensi al secondo comma dell’art.3, quando si afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”. 


Pungolo costante per uno statista come Aldo Moro, da cui tantissimo ancora avremmo da imparare, era proprio l’arricchimento della vita democratica del Paese, nella speranza che nessun cittadino rimanesse indietro rispetto agli altri nella partecipazione attiva alle istituzioni. E credo che ogni azione politica di Moro, ogni sua esitazione, non causata da negligenza ma da seria riflessione, andrebbe letta da una prospettiva: la tenace difesa della Costituzione (di cui era stato uno dei padri costituenti) e la salvaguardia della democrazia. In un periodo come quello attuale, lo studio della figura di Aldo Moro può offrire fondamentali spunti e preziose coordinate, affinché l’avvenire possa essere da noi vissuto con maggiore consapevolezza e serietà.


Ciò di cui si avverte la necessità è, quindi, un incessante sforzo teso ad incanalare caparbiamente ogni sollecitazione dal basso all’interno dei circuiti democratici. Dunque, del fermento di questi giorni, invece che respingerlo o delegittimarlo, bisognerebbe prenderne atto. Riconoscerlo, restituendogli dignità, è l’atto che precede, dopo il dialogo e l’ascolto, la risposta delle istituzioni democratiche. Perché le mobilitazioni popolari sono delle istanze cui è compito della politica non necessariamente soddisfare, ma almeno darne riscontro. 


Tutte le mancate risposte delle istituzioni democratiche generano un vuoto che, se non da noi democratici, potrà essere colmato da qualcun altro. E se l’attuale classe politica che governa il Paese sia in grado, e ne abbia veramente l’intenzione, di risollevare la democrazia è un altro discorso che meriterebbe spazio in un altro contributo. Ma il tarlo del riconoscimento, l’assillo dell’ascolto, la fatica del dialogo e della risposta: ritengo che questi siano alcuni degli elementi fondanti della democrazia, cui ogni classe dirigente deve riferirsi per salvaguardarne l’integrità. 


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