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Il disastro agroalimentare e l'alternativa dell'agroecologia

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Violente frustate di giallo stagliate contro un cielo gravido di tempesta: Campo di grano con volo di corvi è la tela su cui Van Gogh riversò la disperazione del suo ultimo, convulso mese di vita, prima di compiere il gesto estremo, nella fatidica estate del 1890. In questo testamento artistico e spirituale, pare quasi che il dramma personale del grande pittore intercetti una delle più pervasive calamità del nostro secolo, un’emergenza ambientale gravissima e tristemente sfaccettata, dai preoccupanti risvolti sociali.

 

Guerra contro la natura

Non si tratta di retorica ambientalista: è un dato di fatto che il moderno sistema di produzione agricola affondi le radici in una riconversione dell’economia bellica. Negli Stati Uniti, infatti, dopo la Seconda guerra mondiale, le fabbriche di munizioni dirottarono la produzione verso i fertilizzanti di sintesi, mentre le industrie che realizzavano armi chimiche si specializzarono in pesticidi[1]. Gli aiuti postbellici diffusero dapprima questa prassi in Europa e in seguito, con la cosiddetta Rivoluzione Verde, in gran parte del mondo. Cavalli di battaglia di questa controversa rivoluzione sono stati, oltre alla meccanizzazione e allo sviluppo di sistemi di irrigazione copiosa, l’alto impiego di input chimici e le tecniche di miglioramento genetico.


Le assurdità finanziarie

Il sistema di produzione attuale, malgrado i costi contenuti al consumatore, è tenuto artificialmente a galla da un ciclopico sistema di sussidi: 500 miliardi di dollari l’anno in tutto il mondo[2]. L’esempio più abietto di come viene speso questo denaro è relativo all’allevamento: si tratta di un’invenzione che ancora una volta reca il marchio della bandiera a stelle e strisce. Quando, infatti, all’indomani della crisi di Wall Street, i prezzi dei cereali crollarono, gli agricoltori-allevatori cominciarono a nutrire il bestiame a cereali. Questa pratica si perpetuò nel tempo e si propagò nello spazio, con il risultato che oggigiorno, con centinaia di milioni di affamati cronici nel mondo, una superficie estesa quanto l’Unione Europea e il Regno Unito messi insieme è coltivata a cereali destinati al bestiame[3].

Altri incentivi perversi sono quelli per il biogas nel Regno Unito e per il biodiesel in Europa: anziché alimentare i digestori con rifiuti alimentari, letame e olio esausto, si sono iniziati a coltivare granturco e palme da olio per la produzione di carburante, impiegando, a parità di resa energetica, fino a 1500 volte più terreno delle turbine eoliche[4].

 

 Gli insostenibili costi sociali

Pur essendo potenzialmente le realtà più produttive[5] e quelle che assicurano più varietà, le piccole aziende sono penalizzate nella distribuzione di sussidi. A ciò si aggiunga il costo spesso insostenibile di sementi, da ricomprare ogni anno, e prodotti chimici. È tremendo constatare che nella fascia cotoniera dell’India, a causa dell’indebitamento originato proprio da questi fattori, in poco più di 20 anni ci siano stati più di 300 000 suicidi[6].

200 000 morti l’anno per avvelenamento sono invece il tristo tributo da pagare ai pesticidi, senza nemmeno considerare il legame con il cancro e altre malattie che affondano le radici nell’alimentazione[7].

Nell’ambito delle minacce alla salute non si possono non citare i rischi del vizioso rapporto tra aziende farmaceutiche e allevamenti: quasi i tre quarti degli antibiotici consumati al mondo vengono somministrati agli animali allevati a fini alimentari[8]. Secondo l’OMS, questi sarebbero i prodromi di un’era post-antibiotica, in cui già a partire da metà secolo malattie attualmente curabili potrebbero costare la vita a dieci milioni di persone l’anno8.

 

La catastrofe ambientale

Impossibile parlare di esternalità nascoste del sistema agroalimentare senza soffermarsi sui danni ambientali: dalla perdita di biodiversità all’esaurimento e alla contaminazione delle acque, dall’erosione del suolo al contributo al surriscaldamento globale.

Pesticidi come i neonicotinoidi e diserbanti come il glifosato hanno sterminato popolazioni di insetti. Uno studio tedesco[9] ha registrato in 27 anni un calo del 76% nella biomassa di insetti, le cui specie vanno incontro a estinzione 8 volte più velocemente rispetto ai vertebrati. La rilevanza ecologica dell’Insectageddon risiede nella varietà di servizi ecosistemici essenziali prestati da questa classe di animali: non solo l’insostituibile impollinazione ma anche l’arieggiamento del suolo, il biocontrollo e non da ultimo il ruolo imprescindibile alla base e al termine della catena alimentare.

Il dilavamento di fertilizzanti nelle acque causa invece fioriture di alghe tossiche e zone morte oceaniche senza ossigeno, come quella alla foce del Mississippi nel Golfo del Messico, che ha superato l’estensione del Lazio.

I fertilizzanti azotati promuovono inoltre la degradazione del carbonio organico[10] e i primi trenta centimetri di suolo contengono quasi il doppio del carbonio presente in atmosfera[11].

Ogni foresta o zona umida risparmiata dall’agricoltura è un’assicurazione per il futuro e, sebbene sia fuori questione smettere di produrre cibo, è altrettanto inopinabile che la vera emergenza demografica non sia quella delle persone, ma quella del bestiame.

 

In semina scelus

Vandana Shiva e Andre Leu propongono giustamente di ribattezzare le ‘varietà ad alta resa’ della Rivoluzione Verde ‘varietà ad alta risposta’. Un esempio su tutte sono le colture ‘Roundup ready’, geneticamente modificate per tollerare gli erbicidi. Dall’introduzione di questa formula l’uso del glifosato è aumentato di 15 volte[12].

Tuttavia, la riflessione che qui vorremmo proporre non si limita agli OGM ma investe anche le più tradizionali sementi ibride. L’ironia del miglioramento genetico, quale che sia, è che esso distrugge gli elementi fondamentali da cui la stessa tecnologia dipende; in altre parole, poche monoculture soppiantano le migliaia di varietà contadine da cui si erano attinte le risorse per l’ibridazione o l’ingegneria genetica. Da che in India si coltivavano 30 000 varietà di riso, oggi se ne producono solo 50[13] e l’Onu stima che dal 1900 si sia perso il 75% della diversità genetica[14].

“L’ibridazione”, entra nel merito Vandana Shiva, “disaccoppia il seme in quanto seme dal seme in quanto chicco”[15] limitando al minimo il suo ‘valore d’uso’ e accrescendo pericolosamente il suo ‘valore di scambio’. L’infelice corollario dell’introduzione di brevetti sui semi è che l’agricoltore, magari povero, deve rifornirsi di nuove sementi ogni anno, spesso per motivi biologici prima ancora che legali.

Per chiudere il cerchio, forse non stupirà il fatto che semi e fitofarmaci siano nelle stesse mani: Bayer Monsanto, Dow Dupont e Syngenta Chemchina sono i tre gruppi dominanti delle multinazionali chimiche del seme[16].

 

Globalizzazione ed effetto domino

La convergenza verso una dieta standard globale, talvolta anche più diversificata localmente rispetto al passato, ma che ha spazzato via le peculiarità locali e culturali, autorizza un’altra riflessione. Circa il 40% della popolazione mondiale dipende da alimenti provenienti da altre nazioni[17]. Molti Paesi si stanno polarizzando in super-importatori o super-esportatori. Inoltre, in una realtà in cui la terra è solo un bene in un portafoglio di investimenti, è il mercato a dettare quali colture è più conveniente scambiare (le cosiddette flex crops). La tendenza della globalizzazione ad abbattere compartimenti e ‘interruttori’ a ogni livello per creare una ‘rete di reti’ è il presupposto perfetto perché eventuali shock, come malattie, si propaghino. Nella dinamica dei sistemi complessi, un sistema fortemente interconnesso è molto più fragile di un sistema ridondante e modulare, caratteristiche di resilienza alle quali invece ci dovremmo ispirare.

 

L’urgenza di un’alternativa

La vera ‘Rivoluzione Verde’ di cui abbiamo urgente bisogno dovrebbe far fronte alle necessità presenti senza compromettere la capacità di rispondere alle necessità future. Dovrebbe essere ecologicamente vitale, biodiversa e socio-culturalmente giusta, abolendo l’allevamento intensivo, riducendo quello estensivo e garantendo cibo a sufficienza per tutti.

Sorprendentemente, pratiche agroecologiche virtuose hanno ottenuto rese maggiori dell’agricoltura convenzionale in tutto il mondo[18].

Un importante accorgimento in tal senso è il ricorso a policolture all’insegna della complementarità dei bisogni delle diverse specie (ad esempio miglio, con radici superficiali, e leguminose, dalle radici profonde[19]): il concetto di pianta infestante è infatti sovvertito dall’agroecologia. Un altro caposaldo della disciplina è il biocontrollo, una strategia di difesa naturale che usa organismi viventi per ostacolare parassiti e prevenire malattie. A tal fine sono anche utili le rotazioni colturali che, oltre a permettere la rigenerazione della fertilità dei suoli, interrompono i cicli dei parassiti[20]. Le pratiche agroecologiche, inoltre, grazie a tecniche di copertura vegetale come la pacciamatura, consentono di captare più acqua da precipitazioni sempre più intense e di conservarla nel suolo più a lungo[21]. La migliore struttura del suolo, oltre a ottimizzarne la ritenzione idrica, si traduce anche in un più efficiente stoccaggio di carbonio.

 

Acrobati del tempo

Sul campo di grano di Van Gogh, come sul futuro del nostro modello agroalimentare, si addensano nere nubi di tempesta. Dave Goulson, come un acrobata del tempo, in un capitolo[22] del suo libro Terra silenziosa ci mette in guardia da un futuro distopico ma spaventosamente verosimile, adottando il punto di vista di un uomo ormai anziano che oggi avrebbe 25 anni e che nel corso della sua vita sarebbe stato testimone del tragico sfaldarsi della civiltà. Miliardi di persone, dopo il 2050, avrebbero abbandonato le città a corto di approvvigionamenti e, disperate, sarebbero morte di fame. Il protagonista ottantenne sarebbe riuscito a sopravvivere solo grazie a un pezzo di terra difeso col fucile.

La situazione è molto grave ma esistono alternative praticabili. Perfino nel dipinto di Van Gogh ci sono sentieri che si biforcano. L’uso della terra è il più grande potere ecologico che abbiamo e, se ne facessimo una questione di responsabilità, sarebbe il nostro più grande alleato nel fronteggiare le emergenze ambientali e addirittura nel garantire un futuro all’umanità.

 


[1] P.Lymbery, Restano solo sessanta raccolti. Roma, Nutrimenti, 2023. Cfr. p. 14.

[2] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p. 13.

[3] P.Lymbery, Restano solo sessanta raccolti. Roma, Nutrimenti, 2023. Cfr. pp. 14-15.

[4] G. Monbiot, Il futuro è sottoterra. Milano, Mondadori, 2022. Cfr. pp. 74-75.

[5] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p. 13.

[6] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. pp. 13-14.

[7] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p. 12.

[8] P.Lymbery, Restano solo sessanta raccolti. Roma, Nutrimenti, 2023. Cfr. p. 12.

[9] D. Goulson, Terra silenziosa. Milano, Il Saggiatore, 2022. Cfr. pp. 57 e ss.

[10] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p. 29.

[11] P.Lymbery, Restano solo sessanta raccolti. Roma, Nutrimenti, 2023. Cfr. p. 20.

[12] D. Goulson, Terra silenziosa. Milano, Il Saggiatore, 2022. Cfr. p. 133.

[13] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p. 19.

[14] G. Monbiot, Il futuro è sottoterra. Milano, Mondadori, 2022. Cfr. p. 49.

[15] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p. 47.

[16] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p. 44.

[17] G. Monbiot, Il futuro è sottoterra. Milano, Mondadori, 2022. Cfr. p. 47.

[18] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. pp. 31-33.

[19] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p.16.

[20] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p.17.

[21] V. Shiva, A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2019. Cfr. p. 30.

[22] D. Goulson, Terra silenziosa. Milano, Il Saggiatore, 2022. Cfr. pp. 225-242.

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