IL REFERENDUM COSTITUZIONALE E LO SPIRITO DELLA COSTITUZIONE
- Michele Ciraci
- 6 giorni fa
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L’OSSESSIONE DELLA REVISIONE COSTITUZIONALE
Quasi ogni maggioranza di qualsiasi colore politico, una volta giunta al governo, da un po’ di tempo a questa parte, ha l’ossessione di cambiare la Costituzione. Sotto il pretesto di voler rendere più agevole l’esercizio del potere, superando le macchinose procedure stabilite dalla seconda parte della costituzione e rendendosi finalmente impermeabili a quelle che vengono ripetutamente definite come ‘invasioni di campo’, si pretende di modificare gli articoli della Costituzione come se questa appartenesse alla maggioranza di turno e non al popolo intero.
Non giudicando dei contenuti delle singole riforme costituzionali promosse di recente e al di là dei possibili dubbi, a ragion veduta peraltro, che possono sorgere in merito alla effettiva realizzazione dei fini che con quella data riforma si ha intenzione di perseguire (che la mancanza di stabilità dei governi, di cui tanto si parlava, sia da risolvere in sede istituzionale e non al livello politico è tutto da dimostrare ad esempio), è del tutto evidente che a spingere i protagonisti del progetto di revisione costituzionale di turno non è solo il movente politico: c’è quasi una tensione, o un remoto desiderio, di incidere profondamente nel sistema istituzionale scolpendo nella pietra della costituzione le proprie battaglie (finché un’altra maggioranza non la cambierà a sua volta).
Movente politico e quello, per così dire, ideale animano la volontà di colui che si appresta a modificare la costituzione pure quando di una vera revisione in realtà non ve ne sarebbe la necessità. Ma l’urgenza può essere discrezionale, dunque è meglio tralasciare quest’aspetto. Ciò che mi preme in quest’occasione far notare non è l’inopportunità in sé della riforma, né la validità dei suoi contenuti (su cui alla fine saranno i cittadini ad esprimersi), ma la totale confusione in cui si sono svolti i recenti referendum costituzionali e che si crede si ripeterà anche stavolta, nonché la mancanza di sensibilità costituzionale dei promotori della riforma.
Pertanto, dal momento che confusione ed equivoci almeno qui si vogliono evitare, prima di sviscerare le riflessioni di cui sopra, sarà utile descrivere brevemente gli avvenimenti di questi giorni, tratteggiando con riferimenti costituzionali le caratteristiche dell’istituto del referendum.
L’APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI LEGGE E IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Giovedì 30 ottobre si è conclusa la prima fase dell’iter di formazione della legge di revisione costituzionale nelle procedure previste dall’articolo 138 della Costituzione italiana. Infatti il senato, a maggioranza assoluta, ha approvato in ultima lettura il disegno di legge costituzionale, recante “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”. Nel corso della stessa giornata, il testo del progetto di revisione costituzionale è stato poi pubblicato in Gazzetta ufficiale.
Quest’ultimo è un passaggio che si rende necessario non in quanto propedeutico all’entrata in vigore della legge (come avviene nell’ambito del procedimento di formazione della legge ordinaria a seguito della sua promulgazione), ma in quanto utile a far conoscere il progetto al popolo, essendo quest’ultimo protagonista nella seconda (ma eventuale) e conclusiva fase del procedimento di revisione costituzionale. E’ utile a questo punto, non per pedanteria ma per evitare la frequente confusione che si genera ogni qualvolta si parli genericamente di referendum, citare per intero l’art.138 della Costituzione cosicché questa possa chiarirci del tutto le idee:
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
Come risulta evidente dal secondo comma dell’articolo, allo stato attuale, a seguito dell’ultima deliberazione al Senato a maggioranza assoluta, è necessario dar luogo ad un’altra fase del procedimento di revisione costituzionale, che si apre con la pubblicazione anomala del progetto in Gazzetta ufficiale e, se ricorrono le condizioni sopra stabilite, si chiude con la celebrazione del referendum costituzionale.
Scrive il professor Modugno nel manuale di Diritto Pubblico da lui curato:
“il referendum è atto del procedimento di formazione della legge. Ma atto eventuale (non potendo essere richiesto se l’approvazione in seconda deliberazione avviene a maggioranza di due terzi) e facoltativo (poiché se entro tre mesi non viene richiesto il progetto di legge costituzionale si intende approvato e, pertanto, viene promulgato e pubblicato).” [1]
Il referendum costituzionale, oltre a configurarsi come eventuale e facoltativo, assume anche una natura oppositiva, in quanto originariamente pensato come strumento in grado di garantire alle minoranze dissenzienti la possibilità di far decadere il progetto.
A dire il vero, quando si fa riferimento al referendum costituzionale si utilizza spesso la locuzione ‘referendum confermativo’: non è strano fare ricorso ad essa, considerando che la prassi recente ci ha abituato a referendum costituzionali promossi dalle stesse forze politiche che in sede parlamentare hanno deliberato favorevolmente al progetto di revisione, avendo così assunto, il referendum, più una portata confermativa che non propriamente oppositiva.

REFERENDUM COSTITUZIONALE O PLEBISCITO SUL GOVERNO?
Si parlava in apertura della confusione generale che ha fatto da sfondo ad ogni consultazione referendaria recente.
Le campagne referendarie costituzionali a cui siamo stati abituati ci hanno consegnato un clima fortemente bipolarizzato, in cui a primeggiare sono due schieramenti contrapposti che danno luogo ad un dibattito estremamente sommario e di grande superficialità. Eppure, quella del referendum potrebbe essere una grande occasione per tutti noi di riprendere in mano la Carta costituzionale e approfondirne con serenità i contenuti.
Ma, può sembrare paradossale, la verità è che spesso nel periodo che precede la celebrazione di ogni referendum costituzionale degli ultimi anni di tutto si parla tranne che della Costituzione. E probabilmente mi si potrebbe dare torto, sostenendo che i riferimenti alla nostra Carta nel dibattito referendario sono continui, forse troppi e a sproposito. Questo è assolutamente vero.
Ma quando si cita la Costituzione, si parla propriamente dei suoi contenuti con cognizione di causa o si utilizza solo come pretesto per instaurare una discussione che ha come fine ben altro che una sana dialettica costituzionale? Ora da un lato si dice di voler genericamente “salvare la costituzione”, dall’altro si vuole invece “finalmente attuarla” (come si potrebbe attuare la Costituzione revisionandola costituisce un mistero): la nostra legge fondamentale viene levata contro l’avversario politico con un disincantato abuso di essa per soli fini politici; invano è citata e nello spirito così calpestata.
Il dibattito referendario dovrebbe invece essere costruito affinché di essa se ne parli finalmente con consapevolezza, con confronti che preservino la sensibilità costituzionale tra posizioni più evanescenti e sfumate, meno rigide e così irrazionalmente serrate, ognuno con la propria idea di Costituzione pur mantenendone lo spirito intatto, con il proposito di consegnare al cittadino che si recherà alle urne un’idea più compiuta del testo costituzionale e delle conseguenze della riforma in oggetto.
Nel dire ciò si è consapevoli della natura dell’istituto del referendum che così come è stato pensato agevola una discussione tendente al bipolarismo, in cui tutte le opinioni sono naturalmente collocabili in due aree precise: quelle del no e del sì. Il referendum è, in fin dei conti, un prendere o lasciare. Ma questo non comporta in alcun modo che lo scontro referendario debba alla fine sostanziarsi in accuse e difese dell’operato del governo che promuove la riforma.
Il dibattito ha bisogno di respiro costituzionale, lo si sgombri una volta per tutte dalle strumentalizzazioni politiche. Ed è chiaro che il risultato del referendum, positivo o negativo che sia, avrà delle conseguenze politiche di cui si dovrà prendere atto. Ciononostante, ricondurre solo a questo l’esito della consultazione equivale a mortificare la nostra carta costituzionale. Pertanto, tenere la dialettica su un livello costituzionale, sebbene se ne riconosce la difficoltà, dovrà essere l’auspicio di tutti coloro che veramente si curano dello stato della nostra Costituzione. E stare sui contenuti, evitando pretestuosi abusi della Carta a fini politici, potrà dunque essere il dignitoso modo di condurre questa campagna referendaria.
IL SIGNIFICATO DELLA COSTITUZIONE
La Costituzione è di tutti. In essa ogni cittadino, di qualsiasi area politica e quale che siano le sue idee, ha la possibilità di riconoscersi. Non integralmente, questo è chiaro: nessuno vedrà espressa nel testo costituzionale l’intera sintesi delle proprie idee. Ma questa è una necessità, in quanto, sebbene si riduca così il senso di appartenenza di ogni forza politica, si garantisce e si preserva il ruolo che è proprio della nostra Carta, vale a dire quello di fondamento del nostro vivere associato in un destino che è comune a tutti gli italiani. La Costituzione, pertanto, è una formula condivisa in cui tutti hanno rinunciato a qualcosa perché nessuno dovesse rinunciare a tutto.
Diceva Dossetti che la Costituzione è il canto del popolo. Un popolo certamente consapevole delle proprie differenze, ma convinto anche della necessità di superarle, affinché unito potesse lottare contro la dittatura nazifascista e consegnarci in eredità un documento di libertà e dignità.
Questo mi pare importante, non in senso astratto né per riflessioni o speculazioni fine a se stesse, ma alla luce degli avvenimenti recenti. L’arroganza con cui ci si è apprestati a tentare di riformare la costituzione, con un’iniziativa di origine governativa (ma questo è avvenuto anche negli anni passati) su cui il parlamento non ha avuto alcuna voce in capitolo, è allarmante. Così come è stato presentato alle camere, così è stato approvato il testo del progetto di legge costituzionale, senza neppure un emendamento approvato: la maggioranza non ha presentato emendamenti, quelli dell’opposizione sono stati tutti respinti.
Il parlamento è stato così annullato, con il procedimento di revisione costituzionale concepito da un solo schieramento politico, quindi totalmente di parte. E non si venga a dire che il governo è legittimato a fare ciò in virtù dell’investitura popolare: quest’ultima in alcun modo conferisce la possibilità al governo di escludere dalla dialettica le opposizioni, a maggior ragione quando in gioco c’è la revisione della Costituzione. Si potrebbe anche dire che tutto ciò è legittimo, che si sono seguite le procedure prescritte. Tuttavia, non tutto ciò che rileva è scritto. Ogni governo, infatti, nell’esercitare il potere dovrebbe tenere presente non solo la lettera, ma anche lo spirito. E comprendere il processo storico che ha portato alla nascita della Costituzione è il primo passo per afferrarlo.
Ciò che manca è profondità, affinità di spirito, sensibilità. La Costituzione è quindi ferma, da troppo tempo. E forse sarebbe ora di rimetterci dentro il combustibile, vale a dire “l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”, direbbe Calamandrei.
NOTE
1) Franco Modugno, Le fonti del diritto, in Franco Modugno (a cura di), Diritto pubblico (VI edizione), Torino, Giappichelli Editore, 2023, pagina 165.





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