Contro il rumore, la conoscenza
- Matteo Di Pietro
- 30 set
- Tempo di lettura: 6 min
Non quantità, ma qualità: la nostra sfida è dare voce al dubbio e alla riflessione, per costruire una società più consapevole.
LA SETE DI SAPERE
Non serve andare lontano per incontrare una delle considerazioni più certe e potenti della Storia: l’uomo tende al sapere.
Lo Stagirita, all’inizio della sua Metafisica, ci suggerisce una riflessione che può trovare un generoso sviluppo nella storia del pensiero umano. In molti, filosofi, studiosi, poeti e artisti di ogni sorta, hanno evidenziato la natura estremamente curiosa dell’uomo, insaziabile di risposte e bramoso di conoscenza, invaghito dal mistero e catturato dalla ricerca.
Noto è che, abbandonata la lotta di sopravvivenza con la natura e con i suoi simili, egli impose un rapporto latu sensu contrattuale su cui impiantare un costrutto essenziale per l’ordinato e pacifico svolgimento della sua vita: la società. Questa hobbesiana genesi delle fondamenta della civiltà ci conduce a ragionare sulle istituzioni che ivi nacquero e si affermarono: la religione, il mito, l’ideologia, la politica. Tutte strutture che hanno cercato non solo di porre regole, perseguendo un senso di giustizia oscillante tra Themis e Dike, ma anche di offrire soluzioni a interrogativi che si accalcavano prepotenti nella mente dei nostri antenati e che, per certa parte, ci sono stati lasciati in eredità.
Infatti, assunta stabilità, sia pure relativizzata da guerre e scontri interni ed esterni sempre all’ordine del giorno, il gruppo umano compì un passo evolutivo importante: non si preoccupò più solo della necessità materiale, quella legata alla sopravvivenza del corpo, ma iniziò anche ad avvertire un diverso e più intimo bisogno. Il bisogno di comprendere, di spiegarsi la meraviglia, il sublime, l’ignoto. Di conoscere l’altro da sé e confrontarvisi. Di sapere se oltre il mare, oltre le Colonne d’Ercole, esistano altre vite, altre forme di esistenza, altri pensieri. Se dopo aver esalato l’ultimo respiro esista una continuazione, un’altra vita e, se sì, quale, come, dove, perché. E tutto questo a costo di un epilogo negativo, di cadere nel vuoto dopo aver varcato i confini del mondo, di annegare nel mare della tracotanza.
Fu proprio questa insopprimibile esigenza, questo anelito al sapere, che fece nascere il pensiero, la riflessione, la scienza, la filosofia. Che spinse ad esplorare il mondo e l’anima, ad indagare la natura e lo spirito, in un viaggio verso una meta che, seppur irraggiungibile, esercitava una forza attrattiva come quella di una potente calamita. E, dunque, si procedette a delineare le domande, a renderle sempre più chiare e a riempirle di contenuti di volta in volta più precisi, provati, completi, disvelanti. A sviluppare conoscenze e tecniche impensabili all’inizio, alcune delle quali hanno rivoluzionato l’idea stessa della vita e il modo in cui viene vissuta. Tutto ciò, quindi, ci ha portati a raggiungere una enorme fetta di quel sapere desiderato, ma anche a farci comprendere che lo scibile ha una latitudine infinita, che ogni nuova scoperta non si porge come fine, ma si atteggia come inizio. Ci rivela domande che non immaginavamo, ci apre sentieri che erano rimasti nascosti, coperti dalla nube di incertezza che prima aleggiava. Ci spinge, in sostanza, a continuare il nostro viaggio, ad aggiungere un’altra tappa nell’incedere verso Itaca, la quale sempre più si manifesta come paradigma, come limite irraggiungibile che, però, bisogna continuare ad avvicinare. Non fosse altro che per non sprecare i doni intellettivi che la natura ci ha offerto. Si aderisca o meno ad una tensione religiosa o ad una qualsiasi visione teleologicamente orientata dall’alto della vita, non si può negare che il libro del mondo esiste per essere letto. Fermarsi alla copertina, ignorare il richiamo delle pagine venture, non potrà mai darci nulla. Anzi, ci toglierà il piacere più grande che abbiamo: quello di elevarci da uno stato di minorità e di comprendere con la nostra testa. Saremo anche un nulla, un misero giunco che l’universo può schiacciare quando vuole, ma quel giunco (Pascal), ha una caratteristica che lo rende più forte del mondo che lo uccide: sa di perire. L’universo, dal canto suo, pur avvolto in un’insopprimibile e spaventoso manto di potenza, non sa nulla. È il sapere che ci differenzia e ci nobilita. È l’attitudine al sapere, all’informarci, che ci rende umani.
IL POTERE DELLA CONOSCENZA
Al di là del dato ontologico, poi, dal dualismo uomo-natura è opportuno passare ad analizzare il rapporto uomo-uomini. È chiaro che coloro che più sanano e che più sono informati sono dotati di un potere direttamente proporzionale alla loro conoscenza. Non a caso le civiltà a noi precedenti riservavano il gradino più alto della Ziqqurat e della piramide sociale alla casta sacerdotale, depositaria del sapere ultimo sui perché metafisici, oltre che delle conoscenze scientifiche più all’avanguardia.
Notiamo perfettamente, poi, come storicamente coloro che acquistano i gradi più alti di istruzione ricoprano le posizioni sociali più elevate e riverite. Certo, i limiti in cui questo sia ancora vero oggi, per gli intervenuti profondi mutamenti sociali, sono opinabili, ma non vi è dubbio che, nell’epoca dell’informazione di massa, chi sa di più, prima e meglio è più forte di chi sa di meno, in ritardo e male.
Altro aspetto da considerare, per completare il quadro della essenzialità del sapere per l’uomo, è che questa tendenza di cui discutiamo non si valuta solo rispetto alla fisica o alla metafisica, rispetto alle scienze, alle arti o ai fatti del mondo, ma anche nella più stretta dimensione intersoggettiva. L’uomo è un animale curioso, che guarda al suo vicino e si interessa di lui. Homo sum, humani nihil a me alienum puto (Terenzio), riesce a sintetizzare questa caratteristica. Essere invadenti è tratto connaturato all’uomo. E non dobbiamo leggerlo in ottica negativa, al netto di ingerenze spropositate. Non restare indifferenti rispetto a ciò che accade fuori dalle nostre mura domestiche, voler conoscere chi è intorno a noi, voler sapere cosa gli accade, sono uno dei motori della società.
Posto quanto abbiamo ricordato, quindi, giungiamo ad offrire il senso e lo spirito del nuovo progetto nel quale chi scrive e tante altre persone ugualmente o, forse, più valide si sono imbarcati. Non si tratta di un vezzo giornalistico in cerca di appagamento, ma dell’esigenza speculare a quella da cui ha preso le mosse il nostro discorso. Se è chiaro che l’uomo tende al sapere, che cerca l’informazione, è anche intuibile come certi uomini sentano il bisogno di condividere il sapere, di informare, di offrire spunti, riflessioni, approfondimenti. Oggi navighiamo in un caotico mare magnum dove non è più il singolo che cerca, ma gli altri che lo inondano di notizie. Chi informa ha un grande potere: in una società di massa, il modo in cui vengono raccontate le notizie può orientare le visioni e creare convinzioni anche su basi parziali o distorte. La politica oggi si serve dell’informazione, si fa di e con l’informazione. E una informazione che privilegia la quantità alla qualità condurrà inevitabilmente ad una società superficiale e arrogantemente illusa di sapere. Una società in cui la vastità del sapere non si accompagnerà più alla profondità e alla solidità dello stesso. In cui la fluidità dell’informazione creerà soggetti convinti di avere in mano la conoscenza, ma che, invece, ne accarezzano solo gli strati più superficiali. E il problema sarà quello insito nella mediocrità: ritenersi i migliori, assolutizzare le proprie caratteristiche. Soprattutto: non dubitare mai. Il dubbio, invece, deve tornare ad essere l’abito dell’uomo. Vestire il dubbio significa essere in perenne ricerca, significa non dare mai nulla per scontato, non fermarsi mai. Dobbiamo, allora, avere una propensione ad informarci in modo critico. A non dare per definitivo e vero tutto quello che leggiamo. Ad essere pronti anche ad abbracciare nuove teorie, magari in contrasto con quanto pensavamo in precedenza, dopo una attenta e corretta valutazione. Tutto ciò passa attraverso una informazione di qualità.
NASCE INFORMANDOTI
Ed ecco che nasce Informandoti. Certamente il progetto ha e avrà una vocazione di informazione veloce, inevitabile al giorno d’oggi per far acquisire al lettore una minima consapevolezza sul circostante. Ma non possiamo fermarci qui. È un imperativo che ci siamo dati. Alla base bisogna unire un corpo strutturato. Dunque, la rivista appena nata servirà a compiere quel lavoro di approfondimento che oggi più che mai serve a combattere le derive della disinformazione.
Vogliamo restituire uno sguardo critico sui fenomeni e sui fatti del mondo, così da instaurare un ideale dialogo costruttivo.
Vogliamo offrire quella informazione lenta che aiuti a riequilibrare gli scompensi della velocità.
Vogliamo fare politica, nel modo più autentico che ci sia, senza finalità elettorali o propagandistiche. Saremo politici, ma mai politicizzati o vassalli di logiche partitiche. La nostra è e sarà una voce libera e indipendente. Valori sempre più rari nell’informazione e, proprio per questo, finalità insopprimibili della nostra azione.
Inoltre, saremo un soggetto giovane che, però, punta a dialogare con tutte le fasce d’età, con tutta la società. A dispetto di quanto si possa credere, i giovani sono i più consapevoli dei rischi che oggigiorno si vivono e, quindi, i più desiderosi di correre ai ripari, di trovare soluzioni. Per questo è importante il loro – il nostro – contributo. Sono – siamo – una forza di incommensurabile valore che, certamente, riuscirà a vincere la partita con la Storia e ad affermarsi come degna nuova classe dirigente.
Grazie ai segni del passato, con lo sguardo attento al presente che scorre, ci lasciamo chiamare dal futuro: non spettatori, ma attori che scrivono il libro del mondo con la propria penna.
La sfida del presente è chiara: dobbiamo informarci e, informandoci, capire.
Perché solo chi si informa, approfondisce e riflette può essere davvero libero.




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